In un mercato sempre più fluido e frammentato, è prioritario conoscere a fondo il proprio pubblico. Ma è altrettanto importante individuare i nuovi target di consumatori emergenti – o già affermati – per rimodulare tempestivamente le proprie strategie di vendita. Ma quali sono i cosiddetti “nuovi consumatori”? Il kidult è davvero la nuova frontiera da cavalcare? Come valutare quando è il momento giusto per rivedere il proprio modello di business in base ai nuovi trend? Questi sono solo alcuni degli interrogativi emersi durante il convegno organizzato da Toy Store, dal titolo “L’evoluzione del mercato del toy, tra kidult e nuovi consumatori”, che ha animato l’ultima edizione di Toys & Baby Milano e a cui hanno provato a rispondere alcuni player di spicco del mercato del giocattolo: Francesco Bracone (Managing Director di Ravensburger Italy, Spain and Portugal), Luca Cattini (Country Manager di Asmodee Italia), Marcello di Peco (titolare del negozio Il Prato dei Giochi di Prato) e Andrea Valla (fondatore della catena retail Dadi e Mattoncini).

Da sinistra Luca Cattini (Country Manager di Asmodee Italia), Francesco Bracone (Managing Director di Ravensburger Italy, Spain and Portugal), Andrea Valla (fondatore della catena retail Dadi e Mattoncini) e Marcello di Peco (titolare del negozio Il Prato dei Giochi di Prato) © Courtesy of Duesse Media Network
FRANCESCO BRACONE (RAVENSBURGER):
«AFFRONTIAMO UN CAMBIAMENTO IRREVERSIBILE»
Per Francesco Bracone, Managing Director di Ravensburger Italy, Spain and Portugal, la pandemia ha rappresentato uno spartiacque definitivo. «Fino al 2020, il mercato seguiva regole relativamente stabili. Dopo la pandemia c’è stato un reset profondo, soprattutto nel comportamento dei consumatori». I bambini sono diventati iper-digitali, spinti dalla necessità di restare connessi durante i lockdown; al contrario, gli adulti hanno riscoperto il valore del tempo anche grazie al gioco. «È un cambiamento irreversibile che obbliga l’industria a rimettere in discussione molte certezze». All’interno di questo scenario in evoluzione, il segmento kidult si sta affermando come una vera opportunità di crescita. «Il kidult compra tutto l’anno, spesso per sé, con grande frequenza. È un consumatore recidivo, fedele, coinvolto. Non compra solo per regalare: compra anche per sé». Per Bracone, si tratta di un target che può compensare in parte il declino del mercato kids, legato anche al calo demografico. «Non possiamo più permetterci di ignorarlo: il kidult è una leva concreta per il futuro del toy». Ravensburger, storicamente forte nel segmento adulto grazie ai puzzle, ha comunque dovuto rimettere mano all’intero portafoglio. «Non abbiamo dovuto reinventarci da zero, ma abbiamo dovuto rianalizzare e rilanciare, in alcuni casi da capo. È il caso, ad esempio, di Lorcana, il nostro gioco di carte collezionabili pensato anche per un pubblico adulto. Un progetto complesso ma stimolante, che ha richiesto nuove competenze e approcci». Il punto, secondo Bracone, è che oggi non basta avere il prodotto giusto: bisogna capire come comunicarlo, a chi indirizzarlo e con quali strumenti. Proprio la comunicazione, in un’azienda “ibrida” come Ravensburger, diventa una sfida quotidiana. «Ci rivolgiamo a target dai 2 ai 99 anni, mantenendo intatta la coerenza del nostro Dna. Non possiamo spostarci troppo sul mondo del kidult senza perdere la connessione con i bambini, che restano il cuore del nostro mercato. Un bambino che non inizia con un puzzle da 12 pezzi, difficilmente diventerà l’adulto che affronta quelli da 9.000». Essere trasversali, quindi, significa saper comunicare a 360 gradi. «Usiamo ancora la Tv per alcuni target, ma anche social, fiere, materiali educational per scuole e asili. Cambiamo strategia per restare rilevanti presso pubblici diversi. Avere un portfolio ampio, consente di reggere l’urto quando un prodotto non funziona». Il target adulto richiede anche un cambio di mentalità. «Non basta più fare survey ai bambini: bisogna parlare con gli adulti e creare comunità, che è forse l’aspetto più difficile, ma anche il più importante e strategico». E per aiutare il retail a evolversi, «lavoriamo su tre direttrici: offriamo materiali POP curati per creare corner dedicati; sosteniamo eventi in store; e ci proponiamo come veri consulenti per i nostri partner». Infine, Bracone ribadisce che il negoziante oggi deve essere competente e appassionato: «Il kidult cerca professionalità e passione nel punto vendita. Vuole parlare con qualcuno che conosca il prodotto quanto lui, se non di più. Solo così si crea un vero legame».
ANDREA VALLA (DADI E MATTONCINI):
«ESSENZIALE FARE COMMUNITY»
Andrea Valla, fondatore della catena retail Dadi e Mattoncini, si definisce senza esitazione un kidult. «LEGO e giochi da tavolo sono sempre state le mie passioni: ho iniziato questo percorso nel 2013 lasciando il lavoro da ingegnere biomedico per costruire un progetto che partisse da ciò che amavo». Da quella prima idea – un piccolo negozio ad Ancona, nascosto al primo piano – è nata una realtà oggi in grande espansione. Per Valla, non basta essere competenti: serve un’identità chiara e coerente, una passione vera, quella che si trasmette e crea relazione. «I nostri clienti non vengono solo per acquistare. Vengono per chiacchierare, scambiarsi opinioni, informarsi sulle novità. E questo non è mai tempo perso: è il terreno su cui si costruiscono i futuri acquisti». Il negozio diventa così uno spazio di aggregazione, dove la community si crea giorno per giorno. «Anche il mio socio era un nostro cliente: è entrato per passione, e da lì è nata una collaborazione». Un elemento fondamentale, per Valla, è anche l’uso dei social e del passaparola come strumenti per coinvolgere e fidelizzare i clienti. «I social sono ormai usati da tutti i clienti e ci permettono di monitorare immediatamente l’efficacia delle campagne, vedendo chi colpiamo e in che fascia d’età. Ma è il passaparola a fare la vera differenza: se un cliente si è trovato bene in negozio, supera tutto, anche il prezzo o la distanza». Con un piano di espansione in corso – oggi Dadi e Mattoncini conta 20 negozi e punta a 30 entro il 2026 – la sfida è mantenere intatta la qualità dell’esperienza. «Per noi la formazione è cruciale: non solo sulle tecniche di vendita, ma sulla cultura del prodotto e sulla capacità di relazione». Per Valla, i venditori devono essere prima di tutto appassionati, solo così si può restare credibili in un mondo che cambia in fretta. A differenza di altri retailer, Valla non ha mai voluto rivolgersi esclusivamente agli adulti. «Il volano maggiore è proprio l’interazione tra generazioni. Quando un genitore appassionato coinvolge il figlio, nasce un’esperienza familiare che rafforza il legame con il gioco». Per questo l’offerta si è ampliata: dai giochi da tavolo per bambini ai libri, fino ai giochi prescolari: «Ad Ancona non c’erano più negozi di giocattoli, le richieste erano tante e così abbiamo risposto. Anche la nostra proposta libraria è nata così, dopo la chiusura della libreria di quartiere». Valla non rincorre la battaglia sul prezzo. «Ci sarà sempre chi entra in negozio con il telefono in mano per confrontare il prezzo con l’e-commerce. Ma il nostro valore sta altrove: nel saper consigliare il gioco giusto. Far uscire un cliente con il prodotto adatto è un risparmio reale rispetto a uno sconto su un acquisto sbagliato». Per questo, afferma, il cliente affezionato non cerca solo un prezzo competitivo, ma un interlocutore che conosca davvero ciò che propone. Un altro pilastro è la diffusione della cultura del gioco: «Durante la pandemia io, mia moglie e mio figlio giocavamo insieme. Mia figlia all’inizio no, ma poi si è lasciata coinvolgere. Questa operazione di “reclutamento” è lenta, ma funziona. Il gioco va proposto con entusiasmo, senza essere estremisti».
LUCA CATTINI (ASMODEE):
«KIDULT, QUESTO CONOSCIUTO»
Per Luca Cattini, Country Manager di Asmodee Italia, parlare oggi di “kidult” come di un fenomeno nuovo, o emergente, è un errore concettuale: «Per noi il kidult non è mai stato un target da conquistare: è da sempre il nostro pubblico di riferimento. Il 90% dei nostri giochi viene acquistato direttamente dall’adulto che lo giocherà assieme a famigliari o ad amici o magari lo regalerà ma ne è coinvolto in prima persona, mentre il giocattolo di norma viene acquistato da un adulto per un altro utilizzatore». Una delle difficoltà principali per Cattini è la percezione errata da parte del retail specializzato, che spesso rifiuta i giochi da tavolo perché “non sono giocattoli”. «Molti negozianti non comprendono che il bambino entra in negozio accompagnato da un adulto. E spesso sono proprio gli adulti, spinti dalla nostalgia delle loro esperienze di gioco, a voler coinvolgere i più piccoli. L’adulto non ha limiti nella sua passione. È un mestiere compulsivo, noi siamo “spacciatori” della prima esperienza di gioco». Le linee di maggior successo, anche per bambini, sono infatti quelle con un’identità ibrida: nate per adulti, ma capaci di generare un legame intergenerazionale. E la chiave, secondo Cattini, è far vivere il gioco in prima persona. «Il nostro approccio è sempre stato semplice: facciamo giocare il negoziante. Se si innamora del gioco, inizierà a venderlo con convinzione». Ma per farlo serve un cambio culturale: «Il gioco da tavolo non si vende come un giocattolo. È un mondo a parte, che richiede formazione, passione e una relazione diretta con il cliente. Il negoziante deve diventare un esperto di prodotto e un facilitatore di esperienza». In questo contesto, le fiere «sono state essenziali per far conoscere il gioco, per farlo provare, per creare cultura. E lo sono ancora oggi. Nei nostri stand a Lucca e Bologna vendiamo a prezzo pieno per rispetto dei negozianti. E vendiamo tantissimo, perché chi acquista trova uno spazio accogliente, pieno di stimoli, dove qualcuno gli spiega, lo consiglia, lo coinvolge. Quando escono dalla cassa con 300 o 400 euro di spesa, sorridono. Non è il prezzo a fare la differenza: è l’emozione, la passione, il coinvolgimento». Cattini insiste: anche i negozi devono capire quanto siano importanti le dimostrazioni in store. «Il nostro settore si è sempre basato sul passaparola. E questo si attiva solo se il cliente prova il gioco, e può farlo solo in negozio o in fiera». Da qui l’appello al retail: «Chi vuole sopravvivere deve cambiare. E non a metà, ma fino in fondo. L’industria del gioco è pronta ad accompagnarli in questo percorso: noi, i nostri concorrenti, tutti. Ma serve volontà».
MARCELLO DI PECO (IL PRATO DEI GIOCHI):
«OSSERVIAMO IL CLIENTE»
Per Marcello Di Peco, titolare del negozio Il Prato dei Giochi di Prato, la chiave per costruire un negozio capace di evolvere è l’osservazione, e inizia il suo intervento citando il premio nobel Alexis Carrel: “Molto ragionamento e poca osservazione conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità”. Per Di Peco, infatti, tutto il suo percorso da retailer nasce proprio dalla capacità di leggere il contesto e il comportamento reale dei clienti. Quando Il Prato dei Giochi è nato, nel 2012, l’impostazione era chiara: un focus quasi esclusivo sul gioco da tavolo. Ma il mercato, con l’ascesa dell’e-commerce e il peso crescente della GDO, ha portato a una riflessione profonda. «Abbiamo iniziato a osservare i clienti che cercavano giochi da tavolo, ma sempre più spesso li acquistavano online. Da lì è nata la necessità di cambiare». Il cambiamento ha significato aprirsi anche al giocattolo, ma senza snaturare l’identità del punto vendita. Anzi, è stato proprio il contatto quotidiano con i clienti – genitori, educatori, bambini – a guidare l’assortimento: attenzione alla qualità, materiali ecofriendly, giochi adatti non solo all’età anagrafica ma alle reali esigenze dei bambini. Oggi Di Peco osserva un cambiamento profondo nel rapporto tra adulti e gioco: «Quando ero bambino, mio padre mi portava in negozio solo a Natale. Oggi, invece, sono i padri – i kidult – a trascinare i figli nei negozi. E spesso il bambino è meno interessato del genitore». Per Di Peco, il kidult non è solo una categoria di mercato, è una leva di trasformazione: ha una cultura del gioco, una disponibilità economica maggiore, e pretende qualità. «Molti sono genitori over 40, con figli piccoli e una carriera alle spalle. Cercano prodotti appassionanti e stimolanti, e a volte sono più coinvolti dei bambini stessi. Il punto è che il mercato si sta spostando, e il negozio deve cambiare con lui».
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