Editoriale: Serve un’industria unita (e oggi non lo è)

Per costruire un “sistema giocattolo” solido e autorevole, in grado di interloquire con il Governo e di intraprendere azioni coraggiose, serve innanzitutto un’industria coesa. Un passo che richiede una presenza presente (scusate il gioco di parole) dei leader di mercato, ovvero chi detiene le quote di mercato più significative e vanta una potenza di fuoco superiore agli altri player. Purtroppo, però, siamo ancora lontani da questo traguardo: negli ultimi anni stiamo assistendo a una costante e graduale delocalizzazione dei big players, che, all’insegna dell’internazionalizzazione, del cost saving e della riorganizzazione aziendale, snelliscono i team italiani, affidando interi reparti a figure internazionali che presidiano più territori (con un’inevitabile dispersione di attenzione verso il nostro Paese). Lo conferma anche la loro preferenza verso fiere di settore estere, a partire da Norimberga, e l’assenza nelle manifestazioni italiane più strategiche. Ancora più preoccupante è la tendenza – spesso dettata dalle case madri – a chiudersi in sistemi sempre più autoreferenziali, limitando il dialogo tra operatori. Il risultato è un’industria del Toy percepita all’esterno come frammentata e incapace di avere un peso specifico reale nei confronti delle istituzioni, che pure potrebbero sostenere politiche a favore del settore. Ma senza il contributo attivo di chi ha maggiori risorse e responsabilità, sarà difficile avviare nuove iniziative e costruire una visione condivisa. Da grandi poteri, infatti, derivano grandi responsabilità. Speriamo che questo senso di responsabilità cresca e diventi azione, affinché le iniziative non vengano lasciate in mano ai singoli, e si costruisca così un percorso capace di generare risultati tangibili, virtuosi, lungimiranti e duraturi.