Estero: salgono le retribuzioni degli operai cinesi

I salari cinesi stanno salendo. Il primo settembre in tutta la provincia del Guangdong – la regione industrializzata che ha per capitale Canton, nel Sud della Cina – per decisione delle autorità il salario minimo legale aumenta del 20%. Anche a Pechino e Tianjin i minimi salgono con percentuali a due cifre. A Shanghai che già aveva i salari più alti della Cina scatta un aumento per legge del 9%. In alcune zone e settori industriali in pieno boom scarseggia la manodopera qualificata e i salari reali salgono ancora di più dei minimi legali. Il New York Times ha raccolto una casistica di imprese americane – dai giocattoli all’abbigliamento – che di colpo si vedono imporre dei rincari dal 5% al 10% dai propri fornitori situati sul Delta delle Perle (tra Canton e Hong Kong). La più grande catena americana di ipermercati, Wal-Mart, è stata inoltre costretta ad ammettere il sindacato nelle sue filiali cinesi. Per quanto limitato, anche questo è un passo che segnala un cambio di direzione. Fino a poco tempo fa le 150.000 imprese straniere presenti in Cina – incluse tante note multinazionali americane, europee, giapponesi e coreane – potevano fare a meno di avere un solo delegato sindacale in fabbrica. Ora il governo di Pechino ha deciso di far entrare il suo sindacato negli stabilimenti stranieri proprio nello stesso periodo in cui scattano gli aumenti dei minimi salariali. Ciò conferma che il regime autoritario cinese è preoccupato dalle tensioni sociali: nel Guangdong da due anni si moltiplicano le fughe di notizie che rivelano scioperi selvaggi, illegali e spesso repressi duramente. Sembra dunque che il “made in China” salirà di prezzo, con possibili riflessi sul mercato del giocattolo, che ancora oggi vede tre quarti della propria produzione nelle mani della Cina.

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