Un gioco in scatola che riprende il nome, le regole e gli strumenti di un altro gioco, ma non la confezione e le sue caratteristiche esteriori, non rientra nei casi di imitazione sleale. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con una sentenza depositata il 19 gennaio 2006. L’imitazione servile, illecita in base all’articolo 2598 n.1 del Codice civile, «non si identifica con la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui – afferma la sentenza – ma solo con quella delle sue caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante e cioè idonee, proprio in virtù della loro efficacia distintiva, a ricollegare il prodotto a una determinata impresa». Sleale imitazione del prodotto altrui è infatti, secondo il Codice civile, quella per cui un’azienda riesce a trarre in inganno il consumatore e il mercato, a proprio indebito vantaggio, creando confusione con i prodotti e l’attività di un’altra azienda. La confusione, stando a questa sentenza della Corte, va legata alla forma del prodotto visibile esteriormente, non a quanto contenuto nella scatola (incluse regole del gioco e strumenti come pedine, carte e quant’altro). In precedenti casi giurisprudenziali, relativi all’imitazione servile di giocattoli (peluche, videogiochi e bambolotti), le confezioni non erano però state neppure prese in considerazione per la valutazione della confondibilità, come in una sentenza della stessa Corte di cassazione, del 1998, sul caso Lego.
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