Da oltre quarant’anni punto di riferimento del mercato italiano, con una market share di circa il 5%, Globo Giocattoli ha inaugurato nel 2025 un nuovo corso diventando Globo Group: un cambiamento non solo di immagine, ma di struttura e visione. A guidare questa trasformazione è il Ceo Federico Bianco, chiamato a imprimere un’accelerazione alla crescita dell’azienda in una fase complessa per il mercato del toy. Nella sede centrale di Illasi, in provincia di Verona, si concentrano le principali attività del gruppo: un hub all’avanguardia, che ospita un magazzino automatizzato di 32.000 mq e uno showroom di 2.500 mq che rispecchia pienamente l’ampiezza dell’assortimento Globo. Il 2024 si è chiuso con un fatturato stabile di circa 30 milioni di euro, realizzati per l’85% in Italia e per il restante 15% all’estero. Oggi Globo Group impiega oltre 50 persone in Italia – a cui si aggiungono altre 20 nelle controllate in Asia – e presidia il mercato con un’offerta ampia e diversificata, che spazia dal toy alla cancelleria e accessori, fino al tempo libero. A queste si affiancano nuove aree in fase di sviluppo, come il segmento pet, su cui il gruppo ha deciso di investire nei prossimi anni. Dalla relazione con i punti vendita alla spinta sulla consulenza in store, dall’attenzione alla sostenibilità al rafforzamento del media mix verso l’IA, il gruppo si muove oggi lungo direttrici precise, che uniscono innovazione, solidità industriale e capacità di adattamento. È su questi pilastri che si fonda la visione del Ceo Federico Bianco, che in questa intervista racconta i primi mesi alla guida dell’azienda e gli obiettivi su cui intende costruire il futuro di Globo Group.

Federico Bianco, Ceo di Globo Group, e Nicole Giusti, Marketing & Comunicazione © Antonio Patuano/Studio Vunde
Sono trascorsi pochi mesi dalla sua nomina come Ceo. Quali sono state le principali sfide da affrontare?
La difficoltà principale è legata allo stato di salute del mercato. Anche se i dati Circana mostrano una lieve crescita rispetto all’anno precedente, il quadro reale è più complesso. I numeri sono spesso influenzati da fenomeni che poco hanno a che fare con il giocattolo tradizionale e questo finisce per falsare la percezione del settore. La verità è che il mercato del toy sta affrontando una fase delicata, strettamente connessa a due fattori: il calo delle nascite e un cambiamento strutturale nei comportamenti dei bambini, che smettono di giocare molto prima rispetto al passato, soprattutto con le tipologie di prodotto più tradizionali. In questo scenario, il nostro obiettivo è mantenere le quote di mercato, non solo con l’assortimento ma anche proponendoci come partner dei nostri clienti: vogliamo essere un supporto reale nella vendita, non solo un fornitore.
La trasformazione in Globo Group è molto più di un rebranding. Cosa rappresenta per voi questo passaggio?
Il cambio di nome risponde a due esigenze strategiche ben precise: da un lato, supportare lo sviluppo dell’export – che nel 2025 dovrebbe arrivare a rappresentare il 15% del fatturato – dotando le nostre controllate di piena operatività per servire direttamente i clienti internazionali; dall’altro, accompagnare la diversificazione dell’offerta con una struttura più chiara e segmentata. Accanto al core business del giocattolo, abbiamo infatti lanciato nuove linee come Pets à-porter, con un assortimento dedicato al mondo degli animali domestici, da cui è nata la divisione Globo 4Pets. Da qui la scelta di creare un “cappello” che tenesse insieme anime diverse ma complementari, pronte a dialogare con mercati specifici in modo più efficace.
Parlando di diversificazione, avete in programma anche di aggiungere una linea kidult al vostro assortimento?
Sì, il segmento kidult è al centro delle nostre riflessioni strategiche, ma va affrontato con grande consapevolezza. Non si tratta solo di “uscire dal mondo bambino”, ma di parlare a un target molto ampio e diversificato con esigenze precise. Tra le varie possibilità, quella che stiamo valutando con maggiore attenzione è il gioco in scatola per adulti, una categoria in cui attualmente non operiamo ma che offre spunti interessanti. Il limite principale, per noi, è il know-how: entrare nel settore del gioco in scatola richiede competenze che oggi non abbiamo e per questo stiamo valutando varie possibilità, tra le quali acquisire una figura con una expertise specifica. Siamo ancora agli inizi, stiamo facendo analisi di mercato e valutazioni interne, ma la direzione è tracciata. Vogliamo partire con il giusto livello di preparazione, evitando un approccio improvvisato in un settore di per sé molto competitivo. In questo momento siamo in una fase di studio e analisi per individuare il posizionamento più adatto a noi e la direzione più efficace da prendere.
Come avete chiuso la prima parte dell’anno e che aspettative avete per la ne del 2025 e l’inizio del 2026?
La prima parte del 2025, intesa come i primi cinque mesi, si è chiusa con un risultato positivo: abbiamo registrato un incremento di circa il 5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: un segnale incoraggiante dopo due anni complessi. La raccolta ordini per il Natale è superiore a quella dell’anno scorso, e la nostra multicanalità – insieme al contributo dell’export – sta compensando le flessioni di alcuni canali. Inoltre, per il 2026 ci aspettiamo i primi risultati concreti dalla nuova linea Pet. Il mercato sembra essersi stabilizzato, ma senza fenomeni trainanti come in passato: oggi più che mai serve costruire dall’interno, puntando su differenziazione, innovazione e presidio delle nostre quote. Le condizioni per farlo ci sono: siamo cautamente ottimisti.

© Globo Group
Tra le novità di Globo c’è la linea Teen&Up, come è stata accolta dal mercato?
La risposta è stata molto positiva, specie per la cancelleria, che ha mostrato un potenziale di consumo ampio. I negozianti sono stati molto ricettivi: oggi chi vende giocattoli ha l’esigenza di diversificare l’offerta, ed è proprio il trade a chiedere soluzioni nuove, anche fuori dal perimetro tradizionale. Il packaging sobrio e curato è stato pensato per rispondere a un target ampio, dai bambini agli adulti. La linea si presta agli acquisti d’impulso e può trovare spazio in tanti contesti: negozi di giocattoli, GDO, edicole, ma anche negozi di abbigliamento, accessori, elettronica. È questa versatilità a renderla efficace. Teen&Up è partita con 56 referenze, ma l’obiettivo per il 2026 è raddoppiare l’assortimento.
Quindi non si tratta solo di diversificazione di prodotto, ma anche di canali. State valutando nuove strade distributive?
Sì. Teen&Up, ma non solo questa linea, ci ha permesso di dialogare con canali che esulano dal perimetro tradizionale del toy, e questo approccio sarà sempre più centrale. Oggi il giocattolo si vende dove c’è traffico, non solo nei negozi specializzati o nella GDO. Il comportamento d’acquisto si è evoluto e i consumatori cercano proposte anche in contesti alternativi. Ne sono un esempio i drugstore, che stanno aumentando la loro quota di vendita di prodotti toy proprio grazie a questa nuova dinamica. In altri Paesi questa trasformazione è già avvenuta da tempo. In Italia sta prendendo piede ora.
Come sostenete il retail nell’integrazione delle nuove linee e, più in generale, nel processo di vendita?
Il nostro obiettivo è sempre lo stesso: aiutare il cliente a vendere. Questo vale soprattutto per i canali non specializzati, che oggi stanno diventando sempre più centrali nella distribuzione del giocattolo. Qui, però, spesso manca una competenza specifica sul prodotto, semplicemente perché non si può essere esperti di tutto. Ed è per questo che diventa fondamentale il supporto del fornitore. Abbiamo puntato molto sulle soluzioni espositive preassemblate, che oggi rappresentano circa il 25% del nostro fatturato. Un dato significativo, che dimostra quanto il mercato sia ricettivo verso queste proposte: dai classici espositori da cassa ai floor display, fino alle isole tematizzate per determinate occasioni come il Natale, San Valentino o la Festa della Mamma. In un contesto in cui lo spazio dedicato al giocattolo si riduce, dobbiamo essere noi a “costruirlo”, portando il prodotto vicino al consumatore finale in modo efficace e immediato.
Come vi siete organizzati per gestire questa trasformazione operativa?
Per offrire un servizio di questo tipo serviva una nuova struttura: abbiamo stretto collaborazioni con cooperative specializzate, che ci aiutano nella personalizzazione della merce e nella preparazione degli allestimenti espositivi. Sono in grado di intervenire sia sul singolo prodotto sia su intere aree da allestire, secondo le necessità del cliente.
Quali passi ha richiesto questo nuovo modello di business?
Da 5-6 anni abbiamo cambiato approccio, soprattutto verso la grande distribuzione. Abbiamo creato un team di visual merchandiser, interni ed esterni, e oggi ci proponiamo con un’offerta “chiavi in mano”. Il buyer ci indica lo spazio disponibile e insieme definiamo il target, l’obiettivo e la composizione dell’assortimento. A quel punto, lo “vestiamo” con una proposta completa. Il tutto è supportato da risorse aziendali che ci permettono di simulare virtualmente il banco prima della sua realizzazione. Questo ci consente di presentare un progetto a tutto tondo, dall’obiettivo commerciale alla visualizzazione finale, garantendo al tempo stesso un controllo diretto sul sell-out. È un servizio vero, non facilmente replicabile, e per questo molto apprezzato dai buyer. Sempre più spesso ci chiedono di occuparci dell’intero processo, dalla selezione del prodotto all’approccio al consumatore.

Alberto Marrone, Responsabile vendite GDO, e Alessandro Di Sangro, National Sales Manager NTD © Antonio Patuano/Studio Vunde
Tra i best seller di Globo Group c’è anche il brand Vitamina G, che tocca il target 0-3 anni e che vanta una collaborazione importante con Monteverde.
Vitamina G è uno dei nostri brand di punta, tra i primi tre per performance e riconoscibilità. Pensato per la primissima infanzia, si rivolge a un consumatore molto attento, in particolare alle neomamme, per cui la qualità percepita è fondamentale. La collaborazione con Monteverde – cooperativa attiva con minori, famiglie e bambini con disabilità – nasce per valorizzare ulteriormente la linea. È un progetto strategico, che ci ha permesso di lavorare fianco a fianco con chi, ogni giorno, conosce da vicino i bisogni evolutivi dei più piccoli. I prodotti vengono utilizzati in contesti educativi reali – come nidi e centri per l’infanzia – dove vengono osservati, sperimentati e valutati direttamente dagli educatori. Questo ci consente di raccogliere feedback concreti e affinare ulteriormente la proposta. I contenuti sono sviluppati anche grazie alla consulenza della dottoressa Diletta Mazzocco, psicologa e psicoterapeuta, con un approccio che integra competenze psico-pedagogiche. In un momento di calo delle nascite, con molti figli unici, ogni acquisto è molto ragionato, per questo progetti così strutturati fanno davvero la differenza.
In un settore ancora fortemente legato alle ricorrenze, come si può incentivare un acquisto più continuativo durante l’anno?
Penso che la chiave sia il posizionamento al pubblico, che poi è la nostra forza. Negli ultimi anni, a causa anche di un contesto economico difficile, le famiglie non possono più permettersi di spendere 50 o 60 euro per un giocattolo. Per questo, molti competitor, senza perdere in qualità, stanno progressivamente abbassando il prezzo medio dei loro articoli. Il giocattolo vive di stagionalità, con ricorrenze come il Natale, il back to school o il Black Friday che restano imprescindibili, ma un posizionamento di prezzo accessibile consente di lavorare su una stagionalità più ampia e di incentivare l’acquisto anche al di fuori dei picchi tradizionali.
In un assortimento così ampio e diversificato, quanto è importante per Globo Group costruire un’identità di brand solida, e come riuscite a renderla riconoscibile sia per Globo Group sia per ciascuno dei vostri marchi?
L’identità di brand è un elemento centrale. Negli anni siamo riusciti a costruire un’immagine forte, facilmente riconoscibile dal consumatore, anche grazie alla scelta di rendere sempre ben visibile il marchio Globo sul packaging: è il primo punto di contatto, quello che crea fiducia e continuità. Allo stesso tempo, però, lavoriamo per valorizzare anche i singoli brand di prodotto, come Vitamina G o Sbelletti, che parlano a target diversi e devono avere un posizionamento chiaro. Ma la solidità di un brand nasce anche e soprattutto dalla qualità del prodotto. In questo contesto storico, l’avvento di nuovi player di mercato dall’estremo oriente rischia di minacciare la fiducia dei genitori nei confronti del giocattolo. Globo, oggi ancora di più, vuole mantenere standard qualitativi elevatissimi. Garantire la sicurezza del giocattolo è parte integrante del nostro posizionamento. In Asia operiamo con due società controllate e un team di oltre 20 persone che ci permette di selezionare accuratamente i partner produttivi e monitorare costante- mente il rispetto delle normative europee. È un equilibrio complesso, ma fondamentale per differenziarci in un mercato sempre più competitivo.

© Globo Group
Su quali direttrici vi muovete in termini di comunicazione: come gestite il media mix e qual è la vostra strategia? In questi anni avete ricalibrato gli investimenti su questo fronte?
Ci concentriamo soprattutto sul digital perché, come già detto, oltre al marchio Globo dobbiamo veicolare la comunicazione di 23 brand diversi. Ogni linea ha un’identità precisa, promossa con una strategia digitale mirata su Facebook, Instagram e LinkedIn, i canali che usiamo in modo più strutturato per dialogare sia con il consumatore finale sia con il trade. L’investimento in comunicazione rappresenta circa il 3-4% del fatturato, una quota che abbiamo mantenuto stabile nel tempo ma che potrebbe aumentare in futuro. Abbiamo molti progetti attivi e stiamo anche aggiornando le nostre competenze, perché siamo consapevoli che l’intelligenza artificiale sta introducendo cambiamenti significativi nelle modalità di comunicazione.
Come è organizzata oggi la vostra rete distributiva, sia in Italia che all’estero di Globo Group? Quali sono le principali sfide logistiche che affrontate per garantire continuità e tempestività nelle consegne?
La nostra rete è multicanale e copre sia la GDO – alimentare e non – sia il canale tradizionale, dove distinguiamo tra negozi specializzati e generalisti. Ogni canale viene gestito da reti vendita dedicate, con figure commerciali diverse a seconda delle esigenze: nella GDO, per esempio, utilizziamo visual merchandiser per ottimizzare l’esposizione dei prodotti, mentre nel canale tradizionale questa figura è ancora poco compresa e valorizzata. È un limite culturale che, se superato, potrebbe rappresentare un’opportunità di crescita per tutto il comparto. All’estero operiamo con agenti plurimandatari attivi da oltre dieci anni in mercati come Francia, Spagna, Grecia ed Europa dell’Est. La logistica fa leva su un magazzino centralizzato di 32.000 mq, che ci consente di garantire ampia disponibilità e rapidità di servizio. Soprattutto nella GDO, dove gli standard sono sempre più stringenti, la tempestività è decisiva: per questo abbiamo investito per rafforzare ulteriormente la no- stra struttura logistica.
Quanto pesa attualmente l’e-commerce nelle strategie di Globo Group?
L’e-commerce oggi rappresenta circa il 5% del nostro fatturato. È un canale che gestiamo sia in forma diretta, sia attraverso i principali marketplace, come Amazon.
Quanto contano oggi dati e analisi nelle vostre scelte commerciali e quanto, invece, incide ancora l’intuizione?
L’intuizione conta, ma molto meno rispetto al passato. Oggi ogni progetto, grande o piccolo, parte necessariamente da un’analisi approfondita. Fino a dieci o vent’anni fa si poteva sbagliare con un margine di tolleranza più ampio. Oggi, invece, l’errore ha un costo molto più alto e il margine è praticamente nullo. Serve un approccio analitico e organizzato, che non elimina il rischio ma lo riduce in modo significativo.

Nadia Viola, Senior Buyer, e Simone Sandrini, Purchasing & Pricing Manager © Antonio Patuano/Studio Vunde
L’attenzione alla sostenibilità sta diventando sempre più centrale nel mondo del toy. Come si traduce concretamente per Globo Group?
La sostenibilità è un tema che ci sta molto a cuore e che abbiamo integrato concretamente nel nostro assortimento con la linea “Globo for the Globe”, lanciata nel 2024. Comprende peluche in materiali riciclati e giochi in bioplastica, con packaging privo di componenti plastici, il tutto in una fascia prezzo accessibile. Il riscontro del trade è positivo, ma sul fronte del consumo resta una sfida culturale: in Italia la sostenibilità è ancora più un valore dichiarato che un reale driver d’acquisto.
Che ruolo possono avere le associazioni di categoria come Assogiocattoli per sostenere il mercato?
Un ruolo cruciale, oggi più che mai. Non si tratta solo di tutelare la distribuzione, ma di difendere la reputazione stessa del giocattolo. La sicurezza, la qualità, la credibilità del prodotto sono temi centrali in un momento in cui i bambini giocano meno e il consumatore è sempre più attento. Assogiocattoli ha già dimostrato di saper intervenire con forza, come accaduto durante il Covid, ma ora la sfida è di lungo periodo. L’associazione deve riuscire a far dialogare di più i player del settore. Serve più condivisione, più unità. E qui entra in gioco il suo ruolo di regia: non come primo attore, ma come coordinatore di una comunità che oggi fatica ancora a riconoscersi come tale.
Se potesse cambiare qualcosa nel mercato del toy con uno schiocco di dita, cosa farebbe?
Abbatterei i “muri” che ancora dividono le aziende del settore. Il mondo del giocattolo è fatto di realtà diverse, ma manca una visione condivisa. Servono più confronto, collaborazione e scambio di idee e dati. Solo unendo le forze possiamo far arrivare la voce del settore anche all’esterno, fino alle istituzioni. Perché il gioco non è solo un prodotto, ma un valore culturale, educativo e sociale. Va promosso ovunque, anche dove oggi è assente, come nella scuola. Mi piacerebbe vedere un’ora di gioco in ogni classe, non come svago, ma come vero strumento di crescita e creatività. Per realizzarlo serve una direzione comune e un settore che si riconosca come comunità.

© Antonio Patuano/Studio Vunde
© Antonio Patuano/Studio Vundes/Duesse Media Network; Globo Group
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